E’ furto se la res esce dalla sfera di vigilanza dell’avente diritto

Furto - Furto in un supermercato - Diretta sorveglianza dell'avente diritto - Tentativo - Configurabilità ( c.p., artt. 56 - 624)
In tema di furto, deve ritenersi che quando l'avente diritto - o persona da lui incaricata - sorvegli le fasi dell'azione furtiva sì da poterla interrompere in ogni momento, il delitto non è consumato neanche con l'occultamento della cosa sulla persona del colpevole. Ciò in quanto la res non è ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto della parte lesa. (M. Sart.)

Premessa. Il furto è uno dei delitti che, nella pratica, ricorrono con maggior frequenza ed è anche una delle figure criminose che danno luogo a maggiori insidie interpretative.
Tali difficoltà sono acuite dal fatto che la fattispecie incriminatrice richiama concetti quali l’altruità ed il possesso, tipicamente civilistici, la cui esatta individuazione non sempre coincide con le opinioni espresse dagli studiosi del diritto penale.
I primi contrasti si registrano già in sede di individuazione del bene giuridico tutelato.
Secondo la dottrina più accreditata l'oggetto specifico della tutela penale del furto è costituito dal possesso, poiché l'essenza del delitto consiste proprio nel passaggio del possesso da una persona ad un'altra, intendendosi dunque che qualsiasi possessore è protetto dalla legge penale.
Pertanto, soggetto passivo del reato deve ritenersi il possessore della cosa mobile, a costui spettando la titolarità del diritto di querela nei casi di furto semplice.
L'elemento materiale del delitto di furto. Riflessi sul momento consumativo e sulla configurabilità del tentativo. Com'è noto, l'art. 624 c.p. punisce la condotta di "chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri".
Contrariamente a quanto potrebbe, prima facie, ritenersi la sottrazione e l'impossessamento rappresentano due concetti diversi, la cui distinta verificazione determina rilevanti conseguenze sul piano della consumazione del delitto.
Sembra opportuno, a questo punto, procedere anzitutto con l'analisi della nozione di "sottrazione", che costituisce un antecedente logico e cronologico rispetto all'impossessamento.
Sottrazione significa privazione dell'altrui possesso. Il concetto di sottrazione implica che l'agente non abbia ancora il possesso della cosa, per cui la mancanza di possesso in capo al soggetto attivo è un presupposto del furto.
Viene a questo punto da chiedersi quale rilevanza debba attribuirsi al concetto di possesso nell'ambito del diritto penale. Secondo la miglior dottrina per possesso deve intendersi la relazione tra la persona e la cosa, che consente alla prima di disporre della seconda in modo autonomo, cioè al di fuori della sfera di vigilanza di altri che abbiano sulla cosa medesima un potere giuridico maggiore.
Ne deriva che sono semplici detentori coloro i quali dispongono della cosa entro la sfera di sorveglianza del possessore, e che se si appropriano della cosa mobile altrui commettono il delitto di furto.
Tale doverosa precisazione consente di distinguere, senza incertezze, i casi di furto da quelli di appropriazione indebita.
Va, altresì, aggiunto che il concetto di sottrazione implica il dissenso del possessore, dovendosi ritenere un requisito implicito del fatto.
Numerose difficoltà interpretative ha sollevato, invece, il concetto di "impossessamento", troppo spesso disinvoltamente nella prassi giurisprudenziale relegato a mero "duplicato" della sottrazione.
Orbene è proprio su questo secondo elemento della fattispecie, successivo alla sottrazione e meramente eventuale, che deve maggiormente concentrarsi l'attenzione dell'interprete, allo scopo di verificare se il legislatore adottando due termini diversi abbia effettivamente inteso riferirsi a due distinti momenti del delitto di furto.
Infatti, come si vedrà, l'attribuzione di un'autonoma rilevanza alla nozione dell'impossessamento determina importanti conseguenze sul momento consumativo del reato e, correlativamente, sull'accertamento delle fattispecie tentate.
Se il possesso, come si è detto, è la disponibilità autonoma della cosa, l'impossessamento non può che essere l'acquisto di tale disponibilità, cioè di una disponibilità che si esplichi al di fuori della sfera di vigilanza del precedente possessore.
In altri termini, affinché taluno si possa impossessare di una cosa è necessario che egli acquisti sulla stessa una signoria indipendente; è cioè necessario che la sua azione dia origine ad un nuovo possesso (in tal senso, la dottrina prevalente Antolisei "Manuale di diritto penale" - Parte speciale I Giuffrè 1996; Fiandaca Musco "Diritto penale" Parte speciale vol. II tomo II Zanichelli 1997).
Del resto, anche dal punto di vista cronologico, i due concetti di sottrazione ed impossessamento rappresentano due fatti distinti che, se nella maggior parte dei casi si verificano nel medesimo contesto temporale, talvolta possono verificarsi in tempi diversi.
Secondo tale autorevole interpretazione, dunque, il momento consumativo del furto coincide con l'impossessamento, cioè quando l'agente acquista la disponibilità autonoma della cosa. Solo allorquando la cosa esce dalla sfera di vigilanza del precedente possessore e si crea un nuovo possesso il furto può dirsi consumato.
L'accoglimento della citata tesi determina rilevanti conseguenze anche sul piano della configurabilità del tentativo.
Infatti, solo quando il ladro riesce a sfuggire dalla sfera di vigilanza del possessore commette un furto consumato, mentre prima di tale momento la semplice sottrazione della cosa non può che essere punita a titolo di tentativo.
Profili problematici del furto nei grandi magazzini. In questo intricato contesto si inserisce il problema del furto nei grandi magazzini, che ha coinvolto la dottrina e la giurisprudenza in un ampio dibattito a partire dagli anni '70.
Si tratta di un tema che ha interessato gli studiosi del diritto sotto molteplici aspetti, ed anzitutto ci si è chiesti se ricorressero gli estremi del furto aggravato dal mezzo fraudolento ovvero della truffa nel caso di sottrazione di merce dal banco dei supermercati.
La giurisprudenza, ormai pacifica, ha chiarito che l'elemento differenziale tra le due ipotesi delittuose consiste nel fatto che nel furto l'oggetto del reato viene sottratto al detentore eludendone la vigilanza contro la sua volontà, mentre nella truffa il possesso viene conseguito con un atto di disposizione dello stesso soggetto passivo, il cui consenso è viziato da artifici e raggiri posti in essere dall'agente (da ultimo, Cass. Pen. sez. V, 9/10/2002, Gullà).
Ma la fattispecie del furto nei supermercati organizzati con il sistema del cd. self service (merce esposta sui banchi di vendita o su scaffali che deve essere portata dal cliente alla cassa per il pagamento) ha dato luogo a contrastanti soluzioni nella giurisprudenza di legittimità soprattutto con riferimento all'individuazione del momento esatto della consumazione del reato.
Infatti, relativamente all'ipotesi, molto frequente nella pratica, del soggetto che abbia occultato sulla propria persona la merce rubata sottraendola alla vista del personale di vigilanza la Corte di Cassazione ha, dagli anni '70 e fino alla metà degli anni '90, ritenuto consumato il delitto di furto già in questa fase, sulla scorta del rilievo che colui che occulta la merce indosso ottiene il possesso all'atto dell'occultamento, sicchè quando passa alla cassa il furto sarebbe già consumato.
Successivamente, la giurisprudenza di legittimità ha accolto la distinzione tra sottrazione ed impossessamento e se ne è servita per tenere separata l'ipotesi tentata da quella consumata, ritenendo quest'ultima perfezionata solo con il definitivo impossessamento da parte dell'agente. Tanto vero che, in tempi recenti, ha chiarito che in tema di furto, fermo restando che il prelevamento della merce dai banchi di vendita dei grandi magazzini a sistema self service e l'allontanamento senza pagare realizzano il reato di furto, deve ritenersi che quando l'avente diritto o persona da lui incaricata sorvegli le fasi dell'azione furtiva sì da poterla interrompere in ogni momento, il delitto non è consumato neanche con l'occultamento della cosa sulla persona del colpevole. Ciò perché la cosa non è ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto dell'offeso (Cass. Pen. sez. V, 21/1/1999, Imbrogno).
Tuttavia, nella giurisprudenza di merito non è dato riscontrare ampie oscillazioni come in quella di legittimità.
Infatti, già in una remota sentenza era stato affermato che va ritenuto responsabile di furto tentato, non essendo configurabile l’avvenuta consumazione per difetto del requisito dell’impossessamento, chi venga sorpreso con merce non pagata in prossimità dell’uscita di un supermercato (Pret. Alghero, 25/2/1983, Silanos).
Più di recente, è stato ribadito che ai fini della sussistenza del furto aggravato dall’esposizione alla pubblica fede non si possono considerare né sottratte né impossessate le cose prelevate in un supermercato, anche se occultate sulla propria persona, al fine evidente di rubarle, fino a quando l’agente non passi dalla cassa e non esca dal locale, ovviando al controllo elettronico all’uopo predisposto. Ciò non significa che ancor prima del passaggio alla cassa ed alla porta di uscita, l’occultamento sulla propria persona della merce prelevata dagli scaffali non possa rilevare alla stregua della fattispecie tentata, con particolare riguardo all’elemento soggettivo e, sul piano obiettivo, all’univocità delle azioni (Pret. Tolmezzo, 16/3/1995, Dzieszewki).
Ed ancora, è stato chiarito che non integra gli estremi del furto consumato bensì quelli del furto tentato la condotta di colui il quale, all’interno di un supermercato presso il quale gli acquisti si fanno col sistema del self service, nasconde sotto i propri abiti due bottiglie di champagne prelevate dagli scaffali, supera le casse dell’esercizio senza pagare il prezzo delle bottiglie, così dimostrando di aver operato la sottrazione di queste per fine di profitto ma, nel passare poi nel campo d’azione del sistema elettronico antifurto posto poco al di là di tali casse, cagiona l’entrata in funzione dell’allarme e viene bloccato con addosso il maltolto dal personale addetto al controllo (Trib. Rieti, 2/3/2000, Tomasetti).
Analisi della sentenza. Considerazioni conclusive. Orbene, passando all’analisi della sentenza in commento, nel caso di specie era accaduto che il sorvegliante di un grande magazzino aveva notato dalle telecamere del sistema di controllo che due soggetti, dopo aver prelevati dagli scaffali due spazzolini da denti elettrici ed occultatili addosso, si erano diretti verso l'uscita.
Il Giudicante ha affermato che, poichè la condotta degli imputati era stata sorvegliata, a loro insaputa, ancora prima della sottrazione degli oggetti, doveva ritenersi sussistente la fattispecie del tentativo di furto.
Ed invero, ricorrevano tutti gli elementi della fattispecie tentata, sia sotto il profilo oggettivo sia sotto quello soggettivo.
Più specificamente, per quanto attiene alla configurabilità del tentativo, deve considerarsi che l'idoneità degli atti debba rappresentare la congruità della condotta rispetto alla realizzazione del delitto voluto, da valutarsi in forza di un giudizio prognostico ex ante ed in concreto. Il giudice deve in altri termini accertare, tenuto conto delle concrete circostanze del caso, se alla condotta, al momento della sua realizzazione, poteva verosimilmente conseguire l'evento.
Mentre il requisito della univocità degli atti dev'essere interpretato come una caratteristica oggettiva della condotta, nel senso che gli atti posti in essere devono possedere l'attitudine a denotare il proposito criminoso perseguito.
Nella fattispecie in esame, non può revocarsi in dubbio che l'occultamento della cosa sulla persona del colpevole prima di oltrepassare le casse dell'uscita costituisca una condotta idonea ed univoca, come tale integratrice degli estremi del furto tentato.
Le conclusioni cui è prevenuto il Tribunale di Firenze appaiono, pertanto, pienamente condivisibili.
La sentenza, infatti, da un lato accoglie in toto la tesi espressa dalla dottrina, dianzi accennata, secondo cui il delitto di furto si perfeziona soltanto con l’impossessamento da parte dell’agente, inteso come acquisto della disponibilità autonoma della cosa al di fuori della sfera di vigilanza altrui.
Dall’altro, si inserisce nell’ambito di quel filone giurisprudenziale, ormai prevalente, a tenore del quale tale requisito difetta quando la res non sia ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto della persona offesa, come nel caso in cui l’avente diritto abbia sorvegliato le fasi dell’azione furtiva.

Avv. Massimo Sartorio d'Analista

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